E ora cosa faccio? Uff, lente malefica. E io scemo che mi porto dietro un’altra lente, mica gli occhiali…
Già tanti chilometri macinati, caldo, sudore e fatica sul groppone, direi che è proprio ora di fermarsi un pochino. Ci sta una sosta tecnica, un rifocillamento con uno dei miei paninetti (specialità daddo!) e un tentativo di rimettere un’altra lente.

Ora devo trovare uno specchio. Si, certo uno specchio… Sono fermo a bordo strada, la bici poggiata per terra, in mezzo alla campagna, sudaticcio e vestito da mucca.
Ma in effetti questo non è un problema, ce ne sono altri 4000 vestiti da festa come me! Anche se il mio body muccato non si batte.

Provo e riprovo ma proprio non va.

E ora che faccio con sta lente che non entra? L’altra l’ho persa, in discesa, ogni tanto mi capita: una salita sferzante e quindi una discesa goduriosa, l’aria che passa sotto l’occhiale e tac! Se non socchiudo leggermente gli occhi a un certo punto, è matematico, se ne vola via. Malefica!

Insomma, ora non c’è altro da fare, si va avanti con un occhio si e uno no. Non è il massimo, ma oggi più che mai sono inesorabilmente, caparbiamente, lungimirantemente (permettetemelo) inarrestabile!

Con in testa quell’arco da raggiungere (quest’anno è ancora più bello, pure lo stadio nuovo ci hanno preparato!), ma con la voglia di godermi tutta questa strada che ho ancora da fare. Ca°°o, ora che ci penso bene, è davvero tanta. Ma è questo il suo bello, e a dirla tutta mi sono fatto anche un sacco di strada nei mesi precedenti (anche se non mi sono spezzato le reni d’allenamento, ogni cosa al suo posto), nei giorni precedenti (viaggione per la prima volta in un camper, che manco a farlo apposta si chiama Challenge(r)) e adesso, oggi, 14 luglio 2013, nuotandopedalandocorrendo. Giusto? Giusto!

“Perché lo fai?”
Proprio ora sta domanda? Ma si, di tempo ne ho tanto per spiegarmi “perché lo faccio”. Perché io lo so dentro di me e la risposta è semplice e affiora in superficie in maniera limpida; però allo stesso tempo è talmente profonda che si spiega solo facendo una bella immersione a bombole piene e facendo luce sui miei meandri più nascosti con una bella torcia per illuminare il percorso che sto facendo e soprattutto quello che voglio fare nella mia vita.

Alt, è molto meno “sermone” e menoso di quel che sembra: parte tutto dalla fatica. La compagna di ogni giorno in particolare di tutti i triatleti e degli amanti degli sport di endurance in genere. Fatica che per me significa dedizione, determinazione e ricerca: voglia di trovare quello che sembra non ci sia, di scoprire, farmi stupire, turbare, eccitare e commuovere dall’universo intero. Insomma, vivere! E tutto questo, senza che le abitudini banalizzino il tempo che passa e appiattiscano tutto. Non mi piace abituarmi a nulla. O meglio, amo il motivo per cui sono attratto dalle abitudini, l’energia di un sorriso, di un profumo, di un bacio, di un abbraccio, di un colore. Ma non voglio esserne succube, dipenderne, la ricerca non deve avere mai fine, sempre in movimento, per cercare di progredire ovviamente, ponendosi nuovi traguardi. La consapevolezza di questo mio modo di essere libero mi dà forza, una grande energia e un sorriso che mi parte da cuore, stomaco e cervello.

E mentre la mente va via per le sue strade, i miei muscoli (e che muscoli! :D) mi hanno portato già per la seconda volta sulla strada di Grending, un bello strappo che poi va su a gradoni; niente di impossibile, ma a questo punto anche un cavalcavia non sarebbe da sottovalutare. Qui non ci si immerge nella bolgia del Solarberg, ma la scossa di adrenalina c’è eccome, con tutta quella gente lì per incitarti in ogni modo, sorridendoti e incitandoti a stantuffare più che puoi sui pedali. Tra i tantissimi volti sconosciuti e allo stesso tempo così vicini, mi fermo a guardare quelli di un gruppo di ragazzi vestiti con una t-shirt verde e jeans corti: i loro tamburi vanno a ritmo con la loro voce, sorridono anche con gli occhi e sono lì proprio per me. Anche se non li ho mai visti e forse non li rivedrò più. Grazie!

Si sale, si scende, si sale, si scende, infiniti mangia e bevi, mentre mangio e bevo, anche se mi sono scordato un pezzo di quel che avrei dovuto ingurgitare nella tasca laterale dello zaino (che asino, perdono coach! :D). Di ristori ce n’è quanti ne voglio, mi idrato e rifocillo il giusto e corpo, testa e cuore sono in sintonia perfetta: faccio fatica, mi riesco a controllare e do tutto me stesso.

Bando alle ciance, è tempo di… Solarberg! Anche al secondo giro fare quella curva e vedere ancora le transenne, il palco e soprattutto quella marea di gente, nonostante i primi siano passati da molti secondi (forse minuti? ok, ore…)… Come descriverli? Scatenati, turbolenti e inebriati dal loro stesso tifo e dalle nostre facce: le facce di noi triatleti, che abbiamo già dato per 3.8K di nuoto e circa 150K di bici, bisogna ammetterlo, nella maggior parte dei casi risultano giusto un filo inebetite. Per la fatica, certo, ma soprattutto per la sorpresa nel vedere quello spettacolo e nell’essere pienamente protagonisti insieme ad ognuna delle persone lì presenti. Mi immergo così per la seconda volta in questo tunnel di calore umano, sempre un po’ spaesato nonostante fossi consapevole di quello che è questo posto. Sono letteralmente avvolto e lentamente (più o meno) salgo la breve ed intensissima salita riempita di un turbinio di suoni, immagini, pensieri e ricordi. Inebriante! Bisognerebbe farsi un Solarberg un paio di volte al giorno, appena svegli la mattina e a inizio pomeriggio. Facciamo tre, anche appena dopo cena 😀

Chiudo gli occhi per un attimo e…
(3 ore prima)
Ho seguito per 3 anni di fila come giornalista il Challenge Roth e puntualmente ogni anno non mi sono voluto perdere l’incredibile spettacolo del Solarberg: una salita non particolarmente pendente, né tanto meno lunga, un tratto di strada che a passarci per 364 giorni all’anno è assolutamente anonimo. Ma proprio lì, 1 giorno all’anno, tutto si trasforma e dal nulla si materializza il “tunnell dell’amore per atleti aspiranti finisher del triathlon full distance più incredibile del mondo”. Sono stato lì con il caldo, con la pioggia, con il vento, sempre fianco a fianco con migliaia di altre persone pronte a urlare a sguarciagola, fare foto, cantare, usare manone giganti, trick-track, trombe e qualsiasi altro strumento per emettere suoni al passaggio dei nostri eroi, i triatleti in gara. Da pelle d’oca ogni volta!

Sapevo già tutto, ne ero consapevole di quello che avrei visto, questa volta io seduto in bici, avevo le immagini vivide nella mia testa. Eppure già solo il pensiero del Solarberg nei mesi e giorni prima della gara mi faceva venire le farfalle allo stomaco…
Ormai ci siamo!

Pedalo già da diversi chilometri e anche se mi sto godendo tutto quello che vedo e sento, metro dopo metro, è inevitabile che più macino chilometri, più il pensiero vada a quel tratto di strada in leggera ascesa. Solarberg, ormai ne sono certo, è una roba da maghi, se no non si spiega: arrivi stanco e pensieroso per tutto quello che dovrai ancora fare, finisci stracarico e pulito, come se avessi appena inforcato la tua bici e pronto a conquistare l’Everest pedalando. E il trucco stavolta non c’è, questa è magia vera!
“Forza amore mio!”, sento la sua voce tra mille e mi si scalda il cuore! Non ti ho vista, ma ti ho sentita proprio abbracciarmi, grazie Emanuela, ti amo!

E giù ancora a menare in protesi, con la mia bici messa a puntino e bella oggi come non mai. La bici era la frazione più dura per me, mentalmente e fisicamente: l’ho sempre allenata poco e un po’ subita, ma oggi nonostante tutto mi sono proprio divertito in sella per 180 km!

Tutto era cominciato 183.8 km fa… Un pratone zeppo di bici, 5000 persone che sistemano borse, gonfiano gomme, mangiano, bevono, ridono, scherzano, fanno la fila ai bagni chimici, pregano, cercano di sciogliere la tensione che elettrizza l’aria. A pochi metri il canale: l’acqua è calda, scura, pulita e soprattutto pronta ad accogliere triatleti infochettati, tutti neri ma con cuffie colorate, che a scaglioni si immergono e dopo un fischio cominciano a schizzare acqua da tutte le parti. Ci sono anche le mongolfiere, si comincia a volare!

Mi sento davvero non bene, ma benissimo in acqua, ho una voglia esagerata di nuotare e anche se sicuramente delle tre il nuoto è la frazione che ho curato meno, è quella che mi ha dato più piacere e sensazioni positive, probabilmente perché l’ho sempre utilizzata come valvola di sfogo e uscita di sicurezza da allenamenti di bici-corsa tritatriatleti.
Seguo il bordo, nuoto come un fuso, bello dritto e ho ottime sensazioni. Sento l’acqua, la muta mi aiuta e con le batterie non c’è nemmeno da farsi largo, di spazio ce n’è quanto se ne vuole. Primo tratto, giro di boa, si torna su e si passa davanti alla partenza e sotto il ponte gremito di striscioni e spettatori; quindi altro giro di boa ed eccoci dal lato giusto per arrivare alle ultime boe prima di toccare di nuovo terra. Wow, bello! Se non fosse che ora ho qualcos’altro da fare, mi sarei fatto volentieri un altro giro!
In realtà non è stato tutto proprio così facile come a scriverlo, ma 1 ora e 10 di splash splash per me va più che bene. Quando mi tiro su la testa barcolla un po’, lo speaker mi dice che sono arrivato e sorrido per una bella fotina, prima di tirare su la borsa e fiondarmi nella tenda.

Ma quanti sono, quanto sono bravi e quanto sono gentili i volontari del Challenge Roth?! Inarrivabili! Grazie, grazie, grazie! Ma…
Scusa, gentile signorona crukken, perché tu rovesciare tutta mia roba per terra di mia borsa? Chi ti ha detto di rovesciare tutta mia roba?! Ho capiten che vuoi aiutarmi e dankedankedanke, ma stai un po’ fermina ora per favoren? Un cambio non proprio velocissimo, ma il tempo di certo non mi manca, la giornata è appena cominciata!
Ciaociao piccola enorme signora crukken volontaria molto gentile!

Corro verso la mia bici, è proprio vicino all’uscita della tenda, mi sta aspettando. Ma ciao! Pronta a farmi realizzare il mio sogno? Oggi ti porterò in posti unici! E dopo aver infilato il casco la spingo fino a dopo la linea dei giudici che mi sorridono e mi dicono qualcosa di assolutamente incomprensibile che però ho capito voleva semplicemente dire: “Vai Dario, salta in sella e pedala, goditi i più bei 180 km della tua vita!”. Ancora dankendankendanken!
E si comincia… Con le urla di incitamento tra cui riconosco quelle del mio amore che mi seguirà dal primo all’ultimo metro riempiendomi di pensieri positivi e godendosi anche lei quello che sarà il suo sogno, magari già l’anno prossimo, chissà…
180 km dopo…

Il pensiero della seconda tenda e della seconda sciura crukken un po’ m’inquieta, ma la gioia è strabordante perché sto scendendo dalla sella, ce l’ha fatta la mia bici a portarmi sino in T2, in mezzo a mille difficoltà, affidabile, leggera e filante. Se solo m’allenassi un po’ di più per farla filare un po’ di più credo sarebbe anche più contenta… Ma forse no, così un po’ più lentamente si è goduta anche lei di più tutto lo spettacolo per le strade.

Ci sono una selva di volontari, fanno a gare per prendermi la bici, sorrisi e incitamenti, borsa raccolta e… Eccola lì, si avvicina quatten quatten e mi acchiappa la borsa. Io faccio un timido tentativo di blaterare qualcosa in turco-normanno antico, ma ovviamente lei non sta nemmeno ad ascoltarmi e sbadabam, di nuovo tutto il contenuto per terra. Perché lo fai? Stavolta vorrei chiederlo a lei, corpulenten sciura crukken. Ma va bene così, mi dice delle cose che non capisco, le rispondo altro che non capisce, ma ci sorridiamo e la saluto, ora c’è la mia maratona, la tanto sospirata, agognata e voluta maratona!

Credo che questi 42.2K non avrebbero potuto essere più belli di così. Anzi, ne sono certo, non avrebbero potuto essere più belli. Per tantissimi motivi.
Il percorso era su sterrato in gran parte, lungo il canale, con bagni di folla e passaggi in paesini; i ristori erano frequentissimi e la gente lungo il tracciato numerosa e calorosa più che mai; ho incrociato un sacco di amici italiani e ho corso anche con diversi di loro; l’animazione in diversi punti era elettrizzante; e le mie gambe, la mia testa e il mio cuore hanno corso, sospinto e pulsato come meglio non avrebbero potuto fare.

Ogni singolo metro si è stampato nei miei occhi e socchiudendoli posso riviverlo. La corsa mi ha sempre fatto quest’effetto, adrenalina allo stato puro, una maratona di un iron distance è ancora di più. Al Challenge Roth poi è sempre una pagina del libro avanti.
Assesto il ritmo, rallento e cammino nei rifornimenti che sembrano dei banchetti di nozze, fin troppo invitanti per me. Spugne perché un po’ di caldo c’è, e poi si riprende. Trovo sul percorso Massimo e ce la chiacchieriamo, mi piace davvero condividere la fatica con un amico!

I chilometri si sommano uno all’altro e il mio muro da scavalcare arriva al 34°. Mi sento davvero svuotato di energie, ma è solo un muro e lo devo scavalcare, ne sono conscio. Lo faccio, concentrandomi su ogni passo, limando ancora un po’ la velocità e pensando a tutti i miei affetti. Ho corso la maratona mano nella mano con i miei tatini sorridenti, Giacomo e Martina e anche con mia madre e mio padre, e tutti i miei affetti più cari. Mi hanno accompagnato sino al 39° km, fino al ritorno sull’asfalto per gli ultimi tre chilometri. Questi li dovevo fare da solo e correre da loro, pronti ad aspettarmi subito dopo la finish line.

Raggiungo Fabio ed Elena, i miei due eroici amici! Fabio nella maratona ha visto Elena in difficoltà e ha scelto di starle vicino e sostenerla metro dopo metro per farle conquistare il traguardo che per lei era poco più che una chimera. A volerlo fare apposta non saremmo riusciti a trovarci, invece siamo noi tre, ognuno col suo carico di emozioni da portare fin dentro quello stadio…
Ora ci sono i sampietrini, non proprio una gioia per le gambe affaticate, si scende verso il centro del paese ed eccomi a fare la gimcana tra panche di legno con la gente seduta che tra una birra, un wurstel e una manciata di crauti si spellano le mani per applaudirci. Ma quanto è bella questa gara?!

Ultima salita, prima di arrivare all’ultimo chilometro, prima arrivare all’ultimo tratto transennato, prima di entrare nello stadio…
Cominciano a scendermi le lacrime e rido, che bello il sole con la pioggia, mi è sempre piaciuto da matti! Sono nel corridoio, tappeto rosso per terra, transenne ai due lati e un continuo incitamento. Sorrido come se avessi una paresi, guardo per terra i miei piedi che continuano a correre e non si vogliono fermare, lì davanti c’è l’ultimo capitolo e il finale non sarà lieto, sarà da Carnevale di Rio de Janeiro!
Il primo passo nello stadio… Mi ritrovo con le mani sugli occhi, quasi incredulo, commosso. Alzo lo sguardo e cerco di incrociarlo con più persone possibili, vorrei vedere gli occhi di tutti, mentre do il cinque ai bambini, guardo il videowall e mi vedo gigante, sento ancora lo speaker che dice che è tutto vero, ce l’ho fatta e sono proprio io, Dario Nardone, qui al traguardo…
Ultimi 30 metri e spariscono tutti, ora gli ultimi passi, ovattati, socchiudo gli occhi e non sento più niente, solo il mio respiro e il battito del mio cuore. E poi il mio urlo, fortissimo, a braccia alzate. Proprio in quel momento libero tutta la mia gioia che esplode come un fuoco d’artificio multicolore ad illuminare ogni cosa.

La medaglia, la birrona, le foto, gli abbracci, ancora pianti, il bacio della mia Manu, il cuore ricolmo dell’affetto dei miei, lontani eppure lì con me. Il tripudio!

Si, sono arrivato al traguardo del 10° Challenge Roth, fantastico!

Senza falsa modestia, sapevo che ce l’avrei fatta, ma farlo è stato ancora più bello e faticoso di quello che mi è frullato nella testa per mesi e mesi. Nella mia testa già, fatta di follia&cuore, l’equilibrio che mi ha portato fin sotto questo splendido arco d’arrivo: praticare il mio amato triathlon per continuare a ricercare la mia felicità.
Ora il domandone, “Perché lo fai?” ha per me una risposta ancora più limpida. Continuerò a chiedermelo, ogni giorno, conscio che nuotare, pedalare e correre sono parte della mia vita così come mangiare, respirare e amare. Me lo continuerò a chiedere perché è fondamentale per continuare il mio favoloso cammino, a volte così faticoso, a volte con strade sbagliate e stop imprevisti e dolorosi, ma sempre così permeato di quella felicità profonda, che scaturisce dall’animo e che prescinde da qualsiasi situazione possa capitare. E che mi permette poi di donare il mio sorriso alle persone che ho la fortuna di incontrare.
Grazie!

Dario ‘daddo’ Nardone