Il nuotatore plurimedagliato Michael Phelps è l’invincibile, il Campione che nella sua carriera ha vinto 28 medaglie olimpiche, di cui 23 d’oro! E’ la macchina perfetta, che non ti tradisce mai. Questo è quanto abbiamo registrato ammirandolo in vasca a Mondiali e Olimpiadi.
Lo “squalo di Baltimora”, a una conferenza sulla salute mentale tenutasi a Chicago all’inizio del 2018, racconta però di un Michael un po’ diverso…
Ci sono campioni. E poi ci sono i Campioni, quelli con l’articolo determinativo e la C maiuscola. Michael Phelps rientra sicuramente nel secondo gruppo e non soltanto per tutti quelle medaglie vinte, ma anche perché è uno di quegli atleti da cui si impara sempre qualcosa.
Scorrendo la sua carriera sportiva strabuzziamo gli occhi davanti a quelle 28 medaglie, tra cui 23 d’oro (!) e a quei 39 record mondiali, allori che lo hanno incoronato come il più decorato di tutti i tempi.
Al di là di tutti quei metalli Phelps fa “notizia” anche quando è fuori dalla vasca e si mette a nudo raccontando i suoi successi ma anche i suoi periodi più bui.
«Dopo ogni Olimpiade cadevo in depressione – ha amesso all’inizio del 2018, durante una conferenza sulla salute mentale a Chicago, negli Stati Uniti -. Mi è successo la prima volta dopo le Olimpiadi di Atene 2004». E gli è successo nuovamente dopo i Giochi di Pechino 2008, quando fu fotografato a fumare. E dopo aver vinto 8 medaglie olimpiche dichiarò: «La droga? Era un modo per scappare da qualsiasi cosa volessi scappare. Una volta tornato a casa da ogni Olimpiade, esplodevo. Nel 2012, dopo i Giochi Olimpici di Londra, ho vissuto il mio momento peggiore. Non volevo più gareggiare, in realtà non volevo più vivere. Passavo tre giorni su cinque a letto, mangiavo e dormivo, mi mantenevo in vita ma non vivevo».
E’ stato allora che ha deciso di chiedere aiuto:
«Non è stato facile andare in terapia, il primo giorno tremavo, ma avevo anche bisogno di capire cosa mi stesse succedendo. Man mano che andavo avanti con la terapia, mi sentivo meglio. Non stavo bene, ma mi sentivo meglio. Le persone hanno paura a parlare dei loro disagi e per questo il tasso di suicidi aumenta. Alla fine sono davvero contento di non essermi tolto la vita».
Dopo aver annunciato il suo addio dall’attività agonistica proprio dopo Londra 2012, lo “squalo di Baltimora” si è presentato al via delle Olimpiadi di Rio 2016 e in un’intervista rilasciata al quotidiano argentino Clarin spiega il perché:
«Non avevo finito il lavoro. Ho deciso di tornare a Rio perché volevo terminare la mia carriera a modo mio. Sentivo di avere un paio di cose da fare e questo mi ha dato forza. Oggi, a un anno e mezzo da Rio, posso dire onestamente che era il modo migliore per andare in… pensione.»
Come hai trovato la forza di rialzarti?
«Mi sono sempre concentrato sull’obiettivo finale. Bisogna mettere in conto che non ti diverti tutti i giorni, ma se si vogliono raggiungere i traguardi che ci siamo prefissati, dobbiamo accettare che ci sono alti e bassi e che è necessario fare le cose anche quando non se ne ha voglia, perché è questo aspetto che distingue l’essere normale dall’essere grande. Vorrei fare a tutti una domanda: avete voglia di alzarvi ogni giorno per andare al lavoro? Se qualcuno alza la mano, direi che è un bugiardo, perché abbiamo tutti giorni brutti, in cui non riusciamo a combinare nulla. La mia carriera non è stata perfetta, ma ho sempre cercato di essere il più preparato possibile.»
Quanto ti è “pesato” essere il migliore?
«Scalare la montagna è molto più facile che stare in vetta. Il viaggio degli ultimi due anni da Londra 2012 a Rio 2016 per risalire in cima è stato facile. Ho avuto momenti difficili nella mia carriera, ma questa è la vita. Ogni giorno era un’opportunità per migliorare e sentirsi più forti. Tutto ha contribuito a realizzarlo: l’aspetto mentale, fisico ed emotivo.»
Che cosa pensa Michael del campione Phelps?
«Posso pensare solo bene. La cosa migliore della mia carriera è poter voltarmi indietro e dire che ho fatto ciò che desideravo. Ed è questa la vera e più importante vittoria per me. Non mi interessa cosa dicono gli altri. E dopo essere tornato in gara a Rio e aver ottenuto quello che ho ottenuto (5 ori e 1 argento, ndr), posso realmente affermare che la mia carriera è stata un successo.»
Hai qualche rimpianto per aver perso (troppo) di una “vita normale”?
«Non cambierei nulla di ciò che ho fatto. Ho affrontato diversi sacrifici da ragazzo perché volevo essere il migliore. Se lavori, i risultati arrivano. Dipende tutto dalla determinazione con cui fai le cose. Se vuoi davvero raggiungere un risultato, niente riuscirà a ostacolarti.»
Qual è alla fine il segreto delle tue medaglie?
«Sicuramente è quella cosa che è tra le mie orecchie, la mente, ovviamente. Ero sempre ben orientato, sapevo sempre cosa dovevo fare e come comportami. Ho interpretato ogni obiettivo allo stesso modo, indipendentemente dal fatto che fossero o meno i Giochi Olimpici. Ho sempre cercato di essere il più perfetto possibile.»
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