All’inizio del mese di aprile, quasi 5.500 ciclisti provenienti da tutto il mondo hanno accettato la sfida della Paris Roubaix Challenge.
Tra loro c’erano quattro amici, triatleti, italiani dell’Ironlario Team: Gianluigi, Ubaldo, Stefano e Alessio.
E proprio Gian, detto il Pres, ci racconta com’è andata e che cos’è leggendaria “sfida” sulle due ruote dedicata agli amatori e vista con gli occhi di un triatleta di lunga data, innamorato dello sport.
Premessa importante: innanzitutto è da chiarire bene che Parigi Roubaix Challenge non è una gara, ovvero si pedala il sabato, il giorno prima della gara dei PRO, e lo spirito è quello delle Randonnée, con solo alcuni tratti cronometrati.
Quello che si respira in questo evento è la voglia di immergersi in un’atmosfera unica, vivere un’esperienza che va al di là di quanto tu possa andare forte e che ti fa rivivere l’epopea di un pezzo di storia dello sport.
Abbiamo affrontato il primo viaggio, quello per arrivare al via di Parigi, scegliendo l’auto. Abbiamo percorso 1.000 chilometri ed eravamo in quattro, più le nostre bici: io, Ubaldo “il re delle pietre“, Stefano e Alessio, il ciclista.
Fondamentalmente la Paris Roubaix Challenge ha un tracciato piatto, lungo 170 chilometri e con 900 metri di dislivello. Eppure è davvero impegnativa.
Il perché è facile da immaginare, ci sono da affrontare 29 settori da 3 km di pavè “cattivo”: è tipo un acciottolato di sassi, con una conformazione a schiena d’asino che ti costringe a stare attento anche alla pendenza per non scivolare.
Alcuni tratti sono in buono stato, altri invece sono piuttosto dissestati, con buche, tutti sono segnalati con difficoltà da 2 a 5 stelle e tra un settore e l’altro ci sono tratti di asfalto.
Il tratto più duro e affascinante è senz’altro la Foresta di Arenberg: molto sconnessa e umida perché nel bosco, pare infinita!
Sembra che abbiano tirato una linea dentro la foresta: entri dentro e non vedi la fine, all’orizzonte vedi la strada che si stringe e tu nel mentre cominci a ballare e a saltare e ogni pedalata è una scommessa di equilibrio.
Quando l’ho vista mi sono davvero emozionato, ci entri dentro e ti scatta il furore agonistico: spacco tutta la bici, ma vado avanti lo stesso!
Ti viene fuori questa determinazione e dai tutto per vincere la resistenza della pietra che non ti vuole fare andare avanti.
Giusto per la cronaca, i professionisti hanno impiegato 4 minuti a completare la Foresta di Arenberg, noi più del doppio, quasi 10…
Alla fine di ogni settore ci siamo aspettati e alla fine anche noi siamo arrivati nel velodrome a Roubaix… Magico!
Paris Roubaix Challenge vale come due ironman, non come impegno fisico, ma a livello di brividi: nonostante non sia nemmeno una gara, la soddisfazione è enorme, ovviamente per chi come noi 4 è un grande appassionato di ciclismo.
Lì c’è passata la storia, con una serie infinita di grandi campioni del calibro di Coppi Gimondi, Merckx, De Vlaeminck, Moser, Hinault, Ballerini, Museeuw, Boonen, Cancellara…
Non c’è pubblico, non c’è casino, è una roba tua, te la godi te. Ti prendi la tua medaglia e se vuoi, puoi anche comprarti il cubo di pavè come ricordo.
Anche il dopo gara è da brividi: all’interno del velodromo c’è la doccia storica, mantenuta quasi come fosse un monumento nazionale!
In tutto abbiamo passato sette ore pedalando (8 in tutto considerando anche la sosta al bar per farci una birra) in sella a delle bici gravel, con cerchi da 30, pressione a 4, con ammortizzatore sul piantone (lo stesso di Sagan!), una sorta di mountain bike stradale.
Io sono stato fortunato, non ho mai forato (in ogni settore c’erano tantissimi ciclisti fermi) e mi sono salvato anche dalle fiacche sulle mani causate dagli scossoni.
Per partecipare occorre ovviamente fare un’iscrizione (è stato dichiarato il sold out solo negli ultimi giorni), tutta la trasferta si può fare in completa autonomia, meglio se con due macchine, così se ne lascia una a Roubaix nel parcheggio chiuso al velodromo e si dorme alla partenza.
Scordatevi i ristori italiani, lo standard è acqua a temperatura ambiente e integratori leggeri messi in bidoni con rubinetti, e poi banane, wafer, barrette, uva passa.
C’è un tempo limite, ma tutto è fattibile: ci sono ciclisti anche che hanno partecipato alla versione storica, vestiti in stile anni ’30, ovviamente anche con bici dell’epoca. Tra loro anche il mitico Gibo, Gilberto Simoni, e tante donne.
Il consiglio è assolutamente quello di provare una volta nella vita questa esperienza, per noi triatleti credo che sia un bel bagno di umiltà utile per capire a fondo lo spirito vero dello sport.
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