Nell’ultimo anno Rodolphe Von Berg ha conquistato titoli in gara e sui giornali. Lo statunitense (un po’ italiano) ha sbancato il mitico Wildflower e gli Ironman 70.3 European Championship, Nice e Buenos Aires, portando a casa anche il titolo europeo.
In questa intervista fiume racconta di come sia stato facile innamorarsi del triathlon, delle sue scelte, dei suoi traslochi e del suo allenatore, del suo rapporto con il nostro Paese e con suo padre, e del suo unico grande sogno: Kona.
Rodolphe Von Berg Jr è diventato grande a pane e triathlon. Suo padre, Rodolphe Von Berg, triatleta con la passione per la full distance, lo ha sempre portato con sé, a ogni gara, in ogni luogo dove si respirasse quell’aria inebriante. A 5 anni il piccolo Rudy è volato a Kona, per seguire le gesta del genitore all’Ironman Hawaii World Championship.
Ed è stato colpo di fulmine.
«Kona è da sempre il mio sogno. Sono andato, per la prima volta, nel 1998, quando avevo 5 anni, e poi altre quattro volte: a 9, 13, 22 e 23 anni. Come fai a non innamorarti del triathlon in casa sua? Appena ho avuto l’età, ho iniziato ad allenarmi in nuoto, bici e corsa.»
A leggere la sua carta d’identità si rischia di fare il giro del mondo:
«Sono nato nel 1993 negli Stati Uniti da madre italo-americana e padre belga. A poche settimane dalla mia nascita ci siamo trasferiti in Francia, dove ho vissuto fino ai 19 anni, ma non ho anche passaporto francese. Dopo di che sono rientrato negli Stati Uniti, a Boulder, in Colorado, per iniziare lì l’Università e allenarmi per il triathlon».
IL 2018, L’ANNO DELLA SVOLTA… ASPETTANDO IL 2019
Tra i tuoi risultati dell’ultima stagione, spiccano la vittoria al mitico Wildflower e quelle all’Ironman 70.3 European Championship in Danimarca, a Nizza e a Buenos Aires del 4 novembre. Soddisfatto o ti aspettavi qualcosa in più? Il 2018 può essere definito l’anno della tua maturazione?
«Sono molto soddisfatto della mia stagione: 4 vittorie su 8 gare internazionali è davvero tanta roba. Penso sia importante sapere essere contento quando l’impegno che ci hai messo durante questo e gli anni scorsi finalmente paga. Ovviamente voglio vincere di più. Diciamo che questo è un ottimo inizio.»
Qual è la gara che ti ha soddisfatto di più in termini di prestazione e non soltanto di risultato?
«Probabilmente il Campionato Europeo in Danimarca. Ho condotto una gara quasi perfetta. È andato tutto benissimo e sono riuscito a esprimermi al meglio in tutte e tre le frazioni.»
Quali i tuoi obiettivi per il prossimo anno?
«Anche nel 2019 il focus sarà sull’half distance. Ho già messo in calendario Oceanside, Wildflower, Challenge “The Championship”, Ironman 70.3 European Championship e Ironman 70.3 World Championship, a Nizza. Probabilmente, proprio nella città della Costa Azzurra, correrò il mio primo Ironman, ma nel 2020.»
IL COACH? UN CERTO LUC VAN LIERDE
Chi è il tuo allenatore e da quanto tempo ti segue?
«È Luc Van Lierde e questo è stato il primo anno in cui abbiamo lavorato insieme. Luc per me è… l’Ironman: è stato il primo atleta europeo a vincere la gara di Kona, nel 1996, e con 8:04:08, ha fatto segnare il nuovo record del percorso hawaiano portandolo via al mito Mark Allen; l’anno successivo ha centrato uno spaventoso 7:50:27 all’Ironman Europe, un primato che è rimasto fino al 2011… Quante emozioni!»
Su cosa avete incentrato la preparazione e sotto quale aspetto sei migliorato quest’anno?
«Ci siamo concentrati sulla bici e su una programmazione specifica che ci consentisse di arrivare al picco di forma nelle gare più importanti. E devo dire che il lavoro ha dato i frutti sperati: sono migliorato sui pedali, ma soprattutto nella capacità di presentarmi agli appuntamenti clou in condizione perfetta.»
Su che cosa lavorerai nei prossimi mesi? Quale secondo te l’aspetto o gli aspetti in cui devi ancora migliorare?
«Non so ancora su cosa lavoreremo, con Luc non ho ancora parlato della stagione 2019. Lo faremo in questi giorni, sicuramente prima di Natale. In questo periodo sto svolgendo allenamenti molto facili, di bassa intensità. In cosa devo migliorare? In tutte e tre le discipline. Nel Mondiale, ma in generale in tutte le competizioni che contano, è importantissimo essere nel primo gruppo di atleti fin dalle battute iniziali, quindi devo lavorare sul nuoto. E poi sulla bici, dove voglio migliorarmi di 20watts nel 70.3; e infine sulla corsa: nella mezza maratona ho un’1:12, ma vorrei arrivare, nel 2019, a chiudere in 1:10-1:11.»
Alimentazione e sport: segui un regime alimentare particolare?
«No, perché credo che sia giusto e importante seguire un’alimentazione completa e sana, senza privarsi di alcun cibo, così da non incorrere in alcuna carenza alimentare.»
Si parla tanto di mental coaching. Qual è il tuo pensiero? Raccontaci i tuoi “attimi vincenti” più significativi.
«Penso che la parte mentale, soprattutto in uno sport come il triathlon, sia molto importante e che il mental coaching rappresenti per me un’opportunità in più. Non avrei vinto il Campionato Europeo se non fossi stato forte mentalmente. Ovviamente, come per il fisico, anche la parte mentale può diventare sempre più forte. In Danimarca, quando Adam Bowden mi ha superato all’8° K, ho pensato sì che sarebbe stato difficile, ma non ho mai perso l’idea di vincere. Il 90% degli atleti, invece, in una situazione così si dà già per vinta. È molto difficile restare forti di testa, quando provi dolore in tutto il corpo, ma io l’ho fatto e al 19.5°K l’ho superato e… ho tagliato per primo il traguardo. Di questo vado particolarmente fiero e il fatto che fosse presente anche la mia famiglia mi rende ancora più orgoglioso.»
UN TRIFOGLIO COME PORTA FORTUNA
Pedali su un marchio storico italiano: perché Colnago?
«Lavorare con Colnago, una marca così prestigiosa, storica e garanzia di altissima qualità, è un sogno per me. Quindi, quando mi è stata proposta la collaborazione il mio sì è arrivato di slancio. Mi ha emozionato stringere la mano a Ernesto Colnago. In gara utilizzo la Colnago K-One, la stessa bicicletta dell’UAE Emirates Team, squadra di PRO di ciclismo su strada. Ogni dettaglio è studiato alla perfezione, l’aerodinamicità è perfetta, i freni integrati sono ben disegnati e funzionano a meraviglia. Il rapporto con l’azienda è continuo, collaboriamo anche su eventuali modifiche da apportare. È un piacere lavorare con persone così.»
Quali sono gli altri tuoi partner? Quanto è importante il supporto degli sponsor per un triatleta professionista?
«Ovviamente, gli sponsor sono importantissimi. Io sono ancora in una fase in cui guadagno di più dai montepremi delle gare che dalle aziende. Questo deve cambiare. Sono molto contento delle opportunità che ho avuto quest’anno con Colnago, RYD (Ride Your Dreams), azienda Italiana di abbigliamento da triathlon e ciclismo, DT Swiss Wheels, Infinit Nutrition e Ekoi caschi e occhiali, e voglio crescere e aumentare la collaborazione con queste aziende, trovandone magari qualcuna di nuova.»
TALE PADRE…
Il tuo primo tifoso è senza dubbio tuo padre: quali i consigli più preziosi?
«Mio padre è molto appassionato di triathlon e del sottoscritto. Mi ha insegnato l’importanza di lavorare sodo, di perseverare, di quanto premi essere onesti e perfezionisti. Abbiamo avuto alcune divergenze ma sono divergenze sempre “positive”, dovute al fatto che vuole solo il meglio per me. Qualche volta, però, si dimentica che un ho coach e un agente…»
BORN IN THE USA
Sei nato negli Stati Uniti e dopo aver trascorso i primi 19 anni della tua vita in Francia hai deciso di tornarci, scegliendo Boulder come tua città…
«Ho scelto Boulder perché è la città del triathlon, la “mecca” del triathlon! Molti atleti professionisti vivono qui e sapevo bene che è perfetta per allenarsi. È una città a dimensione d’uomo, è dinamica e viva sotto l’aspetto lavorativo, ma è anche molto “sana”. Ti permette di condurre una vita tranquilla. Anche l’Università, che io frequento – sono iscritto alla facoltà di marketing aziendale -, è molto quotata.»
A Boulder ti alleni con qualche altro professionista?
«Quest’anno mi sono allenato molto con Davide Giardini. Nel passato, ho svolto allenamenti con campioni del calibro di Tim Don, Ben Hoffman, Tim O’ Donnell, Mirinda Carfrae, e Sam Appleton.»
Che tipo di supporto ricevi dalla Federazione USA?
«Nessun supporto, ogni sforzo, anche economico, della Federazione è per gli atleti ITU. È anche per questo che gli sponsor diventano fondamentali.»
ITALIA SÌ, ITALIA NO
Per un periodo hai indossato anche la maglia azzurra. Perché poi la decisione di cambiare “bandiera”? Cosa non è andato in Italia?
«Vivevo negli Stati Uniti e la Federazione Italiana non era di grande aiuto. Anche se partecipavo alle gare ITU negli Stati Uniti, dovevo venire in Italia e gareggiare in determinate competizioni per essere poi selezionato per la Nazionale. Non era molto pratico. Tra l’altro, non mi era permesso di partecipare alle tappe dell’ITU World Cup, anche se mi sarei sobbarcato io il costo del viaggio. Era impossibile continuare. Vivendo a Boulder, poi, aveva molto più senso gareggiare per gli USA. E così ho fatto.»
Tornerai a gareggiare in Italia?
«Mi piacerebbe molto gareggiare in Italia, è un paese che amo e in cui mi trovo bene. Lo scorso anno ho partecipato al Challenge Sardinia Forte Village, gara dal percorso molto tecnico e molto spettacolare. Il problema dei triathlon half distance nel vostro Paese è il montepremi, ancora troppo contenuto.»
OUT OF TRIATHLON
Il tuo cibo preferito?
«Basta che sia pasta, con tutti i sughi possibili, o pizza. Anche il cibo messicano, come tacos, burrito e quesadilla, soprattutto qui negli Stati Uniti, è molto gustoso.»
Ascolti musica?
«Mi piace molto il genere trance, house, deep house, EDM.»
Hai una fidanzata? La vita di coppia può essere d’aiuto per un triatleta professionista?
«Non ho una fidanzata e in questo momento è meglio così, sono troppo concentrato sulla mia carriera. Più avanti, penso che sarebbe importante avere una persona con cui condividere questa vita magnifica.»
SUPER LEAGUE, OLIMPIADI O KONA?
Cosa pensi della Super League Triathlon?
«Mi piace, la trovo molto divertente da fare e da guardare. Mi piacerebbe correrne una, ma inserirla tra un 70.3 e l’altro diventa una vera e propria impresa. In più, per stare al passo con gli atleti ITU dovrei cambiare il tipo di allenamento, soprattutto per quanto riguarda la corsa, con l’alto rischio di compromettere la mia preparazione e i miei risultati nelle gare half distance.
Ultima domanda: Tokyo 2020 o Kona 2020?
«Kona 2021 di sicuro. Vedremo comunque come andranno il 2019 e il 2020. È da sempre l’Ironman Hawaii l’obiettivo della mia carriera.»