Un bel racconto di Natale ci arriva da Amedeo “IronStakanov” Bonfanti.

L’endurance scorre nelle sue vene, il triathlon long distance, o meglio iron distance, è il suo pane, ma il suo grandissimo amore è lei, la Regina, la Maratona!

Di seguito è lo stesso Ame a raccontarci la sua impresa, vissuta sempre col sorriso e con la voglia di vivere e condividere tutte le palpitanti emozioni che lo sport di endurance è capace di regalarci.


GUARDA LA SUA INTERVISTA DI PASSIONE TRIATHLON


Quando, nel lontano 1996, iniziai a correre nelle famose non competitive, che da noi in Brianza prendono l’appellativo di “tapasciate”, scoprii una propensione per la corsa e il desiderio di allungare sempre più le distanze.
Terminata la mia prima stagione agonistica nel triathlon, due compagni di squadra del Triathlon Lecco, Walter e Paolo, si erano iscritti alla Maratona d’Italia e come preparazione decisero di correre un lungo alla Milano-Pavia.
Decisi d’affrontare questa sfida in loro compagnia per scoprire come avrebbe reagito il mio fisico correndo per 33 km.
L’esperimento ebbe esito positivo e rimasi esterrefatto d’essere giunto al traguardo senza dovermi trascinare.
Correre una maratona era il mio sogno nel cassetto e passato a pieni voti l’esame “long distance”, presi la folle decisione d’aggregarmi alla coppia d’amici in terra emiliana.
E maratona fu. La prima parte corsa in compagnia di uno e la seconda con l’altro, con tanto di arrivo coreografico a Carpi.
Purtroppo la mancanza di una preparazione specifica, associata all’utilizzo di scarpe ormai scariche, determinò l’infiammazione della bandeletta ileo tibiale.
Tre mesi dopo ero sotto i ferri e quindi dovetti rimandare il bis nel 1998. Memore della felice, ma traumatica, esperienza dell’esordio nella Regina delle gare di corsa, seguii un programma per evitare ulteriori sorprese.
La preparazione, seppur non alla lettera, mi permise di raccogliere i frutti del lavoro svolto e di raggiungere un risultato insperato alla vigilia.
Alla Placentia Marathon riuscii a correre i 42,195 km sotto il fatidico muro delle 3 ore.
Ricordo ancora lo shock emotivo nel vedere il crono sul display situato sopra il traguardo. Mi sembrava utopistico poterlo raggiungere.
Successivamente, l’innata idiosincrasia per programmi o tabelle d’allenamento, mi portò a scegliere una strategia che trovai adatta al mio modo d’intendere lo sport amatoriale.
Allenarsi gareggiando seppur conscio, come sostenne qualche amico allenatore, di non poter sfruttare appieno il mio motore.
Mi sono tolto tante soddisfazioni, conosciuto tante belle persone ed atleti, senza pormi precisi obiettivi.
Avevo due comandamenti che onoro tuttora: impegno e, se possibile, arrivare col sorriso sulle labbra, cosa rara quando si spreme corpo e mente in maratona.
Dopo 20 anni di maratone ero ad un passo dal raggiungere un traguardo sportivo a cui tenevo molto: 100 maratone sotto le 3 ore.
Sembrava ormai in saccoccia, sennonché incappai in un grave infortunio durante la Verona Marathon, gara designata per festeggiarlo.
Avvertii dopo 6 km una fitta dietro la coscia sinistra. Erroneamente pensai ad un leggero affaticamento e proseguii, ma sul finire della gara la biomeccanica di corsa era compromessa e mi trascinai al traguardo. Oltre al danno la beffa con un crono di 3:01′.
Giunto a casa, la coscia era completamente nera e gonfia. Strappo muscolare e quindi stop con la corsa.
L’errore che commisi fu quello d’accompagnare, poco più di due mesi dopo, un amico per un lungo di 30 km in preparazione alla maratona di Crevalcore.
Mi convinse a riprovarci e mentre correvamo a temperature polari, dopo 25 km sentii una stilettata al polpaccio destro e la mia gara finì tristemente.
Sembrava una maledizione ed i continui stop forzati e le visite dal fisioterapista li avevo interpretati come un messaggio trasmesso dal corpo.
Dovevo farmene una ragione e l’obiettivo che sembrava una passeggiata, si era trasformato in una chimera.
In associazione a tutto ciò, le disgrazie familiari, il periodo di stacco dalle gare causa pandemia, la rottura della clavicola causata da un’automobilista sbadata…
Fisioterapisti, osteopati, ortopedici un sacco di soldi spesi per cercare d’evitare l’operazione.
È frustrante “sguazzare” in acqua e dover uscire dalla vasca dolorante dopo 500 metri…
Ho mantenuto vive le uscite in bicicletta e la corsa, senza particolari finalità. Volevo dedicare una gara ai miei genitori e l’occasione si è presentata ad inizio ottobre con un classico appuntamento: i 10.000 di Presezzo.
Rimasi sorpreso dalla mia prestazione e una decina di giorni dopo ricevetti una email nella quale mi avvertivano che era l’ultimo giorno utile per iscriversi alla mezza di Novi Ligure.
Tentennai perché la massima distanza corsa in allenamento, e solamente in un’occasione, erano 15 km.
Alla fine decisi d’iscrivermi e anche in questa occasione corsi a ritmi che riuscivo a tenere prima dello strappo muscolare a Verona.
Cercavo di comprendere questo piacevole e inaspettato stato di forma, poiché da sempre non svolgo allenamenti di qualità.
Galvanizzato decisi di riprovare alla mezza di Lodi ed ebbi conferma dello stato di grazia fisico.
Pochi giorni dopo incontro Nicola, un amico triatleta che mi ha sempre spronato a riprovarci e lo ribadisce alla luce delle ultime due mezze corse.
Dello stesso parere Diego, col quale corro ogni tanto nel fine settimana.
Propongo a quest’ultimo di farmi da badante per due lunghi di 30 km, considerando che in solitaria, per un intollerante all’allenamento come il sottoscritto, sarebbe insostenibile.
Il timore era d’incappare nell’ennesimo infortunio, ma fortunatamente il primo test viene completato degnamente, seppur con evidente fatica.
Il fine settimana successivo ero intenzionato a partecipare alla Mezza di Crema, ma arrivo fuori tempo massimo per iscrivermi.
E col senno di poi, viste le condizioni meteo, posso esclamare “meglio così!”.
La terza domenica di novembre era quella designata per correre il secondo lungo, che poi, per colpa del mio badante sportivo, si è trasformato in un quasi medio.
Al termine, gambe dolenti e pensieri negativi riguardo la possibilità di un crono sotto le 3 ore…
Per mantenere un po’ di velocità partecipo, 6 giorni dopo alla Mezza all’Idroscalo che si rivelerà psicologicamente devastante.
Con le gambe intorpidite dal lungo, e nonostante un massaggio due giorni prima, percorsi 3 km, constato amaramente di faticare più del dovuto.
Il desiderio di mollare e portarsi a ritmi molto più blandi è insistente, però cerco d’ignorarlo e vinco la mia personale battaglia.
Riaffiora e cresce con maggiore convinzione la remota probabilità di raggiungere il mio obiettivo.
Di contro, c’è la gioia d’aver affrontato una serie di gare e due lunghi senza soluzione di continuità e per me è già un successo.
Il dado è tratto e a inizio dicembre m’iscrivo alla Maratona di Reggio Emilia, della quale sono sempre stato un “aficionados” ed estimatore per la precisa organizzazione.
Dopo una rifinitura di 15 km a buon ritmo, sempre col fido Diego, rimango, contrariamente al suo pensiero, poco speranzoso di ben figurare.
Ero comunque felice di poter tornare a correre nella mia gara preferita, sognando di varcare l’agognato traguardo.
Compagno della trasferta reggiana l’amico Fabio: dando uno sguardo delle previsioni meteo della viglia si preannunciava un freddo pungente.
Giunti a Reggio di prima mattina il termometro, che in autostrada segnava tratti a -7, si fermava a -1.
Il cielo sereno faceva ben sperare in un successivo innalzamento delle temperature, e in effetti nella griglia di partenza, col passare dei minuti, il sole riscaldava l’aria.
Partenza in centro città e GPS impazzito fra i palazzi con rilevamenti cronometrici surreali. Si stabilizzerà dopo 5 km, col suono dei parziali in anticipo di 200 metri rispetto ai cartelli posti dagli organizzatori.
Conosco il percorso a memoria e, passato il trabocchetto della prima salita al 13° km, la strada presenta saliscendi sino alla mezza.
il passaggio a metà gara risulta troppo veloce, se la proiezione è un tempo finale di 2 e 59.
Meglio mettere fieno in cascina, in quanto dovrò affrontare un tratto impegnativo dal 25° al 30° chilometro.
E così sarà, con i quadricipiti alle prese con i primi dolori ed il vento gelido e contrario. Occorre porre molta attenzione ai tratti ghiacciati, alcuni segnalati dai volontari. Un attimo di disattenzione e si finisce gambe all’aria.
Scollinato in prossimità del 30° km, tiro il fiato e guardo l’orologio per capire come evolve la tabella di marcia: sono in anticipo sui tempi previsti però si sa che la gara vera e propria inizia ora.
Basta una crisi ed il sogno svanisce in un amen…
Tengo botta, seppur calando il passo, ed arrivo al maledetto sottopasso del 37° km.
L’affronto con cautela, risulterà essere una stilettata al morale e, a corto d’energie, affronto gli ultimi interminabili 4 km.
Sono stanco, i due arti inferiori si sollevano da terra a malapena, l’orologio mi dice di gestire la crisi e non cercare di lottare contro quest’ultima. Ne uscirei perdente.
Il terrore di un infortunio dell’ultima ora mi consiglia di tirare il freno a mano sino all’arrivo.
L’ultimo chilometro è in leggera ascesa e sento lo speaker annunciare gli atleti che giungono alla fine della loro sofferenza.
Dai Ame che ci siamo!
Gli ultimi metri sul tappeto verde racchiudono un mix d’emozioni indescrivibili: stringo i pugni e finalmente posso coronare un sogno costruito in 25 anni di fatiche sportive!
Indosso la maglia con dedica all’amico Simone Grassi che indossavo anche quando terminai la mia 100^ maratona, il primo pensiero va ai miei genitori che da lassù mi hanno sicuramente aiutato in quest’avventura sportiva.
Transitato sotto lo striscione d’arrivo, mentre ricevo medaglia e la tradizionale salvietta, abbraccio calorosamente l’amica Cinzia, moglie dell’organizzatore Paolo.
Un ringraziamento a Diego, il mio badante sportivo e a Fabio che mi ha accompagnato a Reggio.

Amedeo Bonfanti 100^ maratona sotto le 3 ore
Amedeo Bonfanti 100^ maratona sotto le 3 ore