Nel mondo SwimRun Rockman è una gara ambita per la sua durezza e per la bellezza dei suoi paesaggi, immerso nei fiordi norvegesi nei dintorni di Stavanger.

All’edizione 2022 hanno preso parte anche la coppia più rappresentativa dello SwimRun italiano, Renato Dell’Oro e Paolo Carminati.

Hanno conquistato la quinta posizione al termine di un’avventura esaltante, di seguito il racconto di Renato.

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DETTAGLI E CLASSIFICA ROCKMAN 2022

Salto dal battello.
Il tempo di toccare l’acqua e il cervello è libero. L’acqua è meno fredda del previsto, scura e salata: pensavo fosse quasi dolce, come in Svezia, invece questo fiordo norvegese mi sorprende con la sua sapidità.
Si parte slegati per evitare gomitoli di atleti subito dopo il salto dal battello, quindi troverò il mio Socio dopo la prima nuotata di 1km.
Mai nuotato in un fiordo. Il gesto in effetti non cambia, è sempre bracciata, bracciata, respiro. Sì, ogni 2 mi è più comodo, respiro a sinistra ed è una fortuna: ad ogni ciclo mi godo un nuovo pezzo di costa. Ecco, a nuotare in un fiordo a volte rischio di bere, perché resto a bocca aperta di fronte all’imponenza delle pareti rocciose, non è come nuotare nei miei laghi!
Le meduse sembrano uova fritte: sono bianche e quasi piatte, un leggero rigonfiamento in centro, sarà il tuorlo (!), e hanno tentacoli corti. Ce ne sono molte, ma sembrano tutta piuttosto in basso e poi, penso che quelle a pelo d’acqua le avranno già prese quelli che mi precedono e, quindi, dovrei avere strada libera.
Comunque ci hanno detto che non fanno molto male.
Sento bruciare un braccio, all’inizio poco, non capisco se ho preso una palettata o se l’ho sfregato su qualche parte della muta.
Nuoto e il pizzicore aumenta. Nulla di sconvolgente però mi sa proprio che mi ha battuto un cinque una medusa.
A metà nuotata, tra decine di altri nuotatori, trovo Paolo e procediamo assieme fino all’uscita.
Un paio di chilometri di corsa che sulla mappa mi erano sembrati lungo la costa, sono invece 2km di quasi tutta salita. Salita dura, non corribile, a mettere subito in chiaro che oggi sarà dura.
La pioggia del giorno prima ha inzuppato il terreno, le rocce sono ancora bagnate e molto scivolose. Ogni tanto scivola il piede d’appoggio e la salita è piuttosto dispendiosa.
Almeno c’è bel tempo: per fortuna, perché siamo venuti fino qui per vivere qualcosa di nuovo. Nessuna ambizione di classifica, deve essere un bell’allenamento lungo in previsione dei Mondiali di inizio settembre.
Già sappiamo che fare le gare in maniera turistica non ci si addice, se togliamo l’adrenalina della competizione, se già noi ci togliamo gli obiettivi, l’esperienza rischia di diventarci noiosa.
Però siamo un po’ più consapevoli dei nostri limiti e, probabilmente, anche più saggi: a volte riusciamo a goderci le cose per quello che sono, godendoci il momento senza rapportare la nostra prova solo ad un numero.
Nuotiamo slegati, rilassati e affrontiamo le salite di buon passo, ma senza esagerare: se qualcuno ci raggiunge lo lasciamo passare senza affannarci. In altre occasioni ci sarebbe scattata la scimmia da competizione e avremmo aumentato i giri.
Ma oggi sarà lunga: sono 36 chilometri abbondanti di corsa e 6 abbondanti di nuoto. Il dislivello complessivo è di 2500m. Quindi, inutile sparare sulle prime salite non sapendo bene cosa ci aspetta dopo.
La seconda salita, meno dura del previsto, ci porta nel punto più famoso di questo angolo di terra e la gemma del Rockman: Pulpit Rock. Un balcone che strapiomba sul fiordo, una verticalità da togliere il fiato e fare venire le gambe un po’ molli.
Da regolamento è obbligatorio fermarsi 2 minuti, così non si fa gli sportivi ignoranti ma si dedicano 120 secondi a vedere qualcosa che meriterebbe una mezz’ora di contemplazione.
C’è il tempo per la foto ricordo con Rockman e per ingollare una manciata di caramelle gommose, le caramelle di Sagan(!), che col cioccolato non legano molto ma sono già nella fase onnivora, e siamo nemmeno a un terzo di gara!
La discesa è quasi più lenta della salita: i sassi viscidi e spesso instabili richiedono molta concentrazione e vado giù un po’ troppo circospetto, senza divertirmi come solitamente faccio scendendo a pallettoni!
Nel nostro andare piano, al Pulpit Rock passiamo tra i primi 10, poi in discesa perdiamo qualche posizione ma, tutto sommato, stiamo facendo una gara da turisti veloci.
Arrivano le nuotate lunghe ed è obbligatorio legarsi. Ormai abituati ad andare slegati, tornare a stare in scia a Paolo è un po’ scomodo. Ho un po’ perso l’abitudine a gestire la corda e spesso ci litigo per non farla arrotolare al braccio e poi, avendo ormai acquisto un certo occhio, ho perso l’umiltà di un tempo sono diventato un rompipalle clamoroso! Quando il mio capitano mi sembra fuori rotta non esito nel gridarglielo. Mi rendo conto che possa essere fastidioso, però a volte mi sembra davvero di fare metri inutili e non mi trattengo… è dura avermi come compagno!
Nonostante una temperatura dell’acqua piuttosto gradevole, tra i 15 e i 18 gradi, dopo l’attraversamento del fiordo, all’uscita di Flørli, ci viene un po’ di freddo ma è giusto un attimo perché siamo al secondo punto imperdibile di questa giornata: la scalinata per il paradiso.
4444 gradini di legno che salgono paralleli ad una vecchia funicolare di servizio di una centrale elettrica. Si parte dalla centrale e si arriva al bacino artificiale.
In realtà non è durissima.
Sì, siamo in giro da circa 7h e le gambe non sono freschissime, ma i gradini sono piuttosto bassi, a volte si riesce a farne anche 2 in un passo.
È un po’ palloso, più un esercizio mentale che fisico.
Il contatore dei gradini a volte mi deprime, a volte serve a caricarmi. Facciamo 1000 gradini ogni 11’30” circa e in 50′ abbiamo scalato i 500m di dislivello.
Al ristoro ci accolgono 2 ragazzi simpaticissimi che ci danno mille indicazioni e ci incitano tantissimo.
Ci dicono che è l’ultimo ristoro, mi sembra strano perché, secondo me, ci manca ancora tantissimo, allora mi sforzo di mangiare un tramezzino spugnoso che però non riesco a finire.
Ok, vogliamo farla da turisti ma, dopo circa metà gara spunta l’obiettivo che mi stimola a dare un senso alla nostra passeggiata: riuscire a passare l’ultimo cancello orario, quello del Dragon Neck, che ho scoperto essere abbastanza stretto.
In genere non guardo i cancelli, penso sempre che siamo abbastanza in forma per fregarcene però, prima della partenza, l’organizzatore aveva annunciato che, con questo nuovo percorso allungato, in pochi avrebbero passato l’ultimo taglio.
Chi non lo passa non è squalificato, è comunque un Rockman, ma non può correre sullo spettacolare Dragon Neck.
Il limite è 9,5 ore per arrivare al taglio.
Dopo la prima parte di gare mi sembra assolutamente alla nostra portata poi, tra gambe risucchiate dalle sabbie mobili, scivolate a pelle di leone nel fango (spero solo fango), bevute improvvisate alle cascatelle e le dovute soste ai ristori il tempo sembra correre troppo veloce.
Rocce ovunque, impossibile correre, quando finalmente tocchiamo l’asfalto mi inginocchio e quasi lo bacio come vedevo fare il Papa quando scendeva dall’aereo.
Forse 3 chilometri di asfalto, in salita, sono i primi che possiamo correre con continuità, dura poco, perché poi è di nuovo single track, per un breve tratto pure divertente e poi…di nuovo pietraia e a quel punto, se magari prima avevi dei dubbi e pensavi che fosse dovuto alla leggenda che ti raccontano, che si chiama Rockman perché ci sono solo rocce!
Rocce sotto i piedi e tutto attorno, ogni tanto si attraversa qualche foresta che sembra molto Jurassic Park, ancora rocce poi, all’improvviso, sia apre uno squarcio di panorama: distese di colline pratose e rocce, pareti (di roccia) severe, che ti ricordano quanto tu sia un puntino insignificante e poi la vista sul fiordo, l’acqua blu, oltre il grigio delle rocce!
Salutati i simpatici ragazzi dell’ultimo ristoro sono un po’ perso: non mi ritrovo con le distanze segnate sulle palette e iniziamo a fare fatica a seguire il percorso.
Non ci sono più le bandierine arancioni e dovremmo seguire delle T rosse pittate sui sassi.
Con così tanti sassi non è proprio immediato vedere quello pitturato. Non c’è un sentiero da seguire, dobbiamo attraversare dei panettoni erbosi costellati da placche di roccia quindi, se non vedi il bollo rosso, non sai proprio dove andare.
Per fortuna ci raggiunge un “singolo” che sembra conoscere il percorso e ha pure la traccia sull’orologio e ci facilita la progressione per una decina di minuti.
Poi sembra perdere la traccia e si inventa un passaggio su roccia che preferisco evitare, anche perché ho intravisto una coppia dall’altra parte di una laghetto.
Inventiamo la nuotata e peschiamo il jolly: ritroviamo i bolli rossi.
Sembra una caccia al tesoro, o al bollo rosso, estremamente lenta e logorante. Potrebbe essere una discesa quasi corribile, invece ci si ferma ogni 10 passi per individuare il bollo successivo.
Il panorama è stupendo ma me lo godo poco.
Inizio a pensare che un bollo rosso non è una T rossa e che quindi stiamo seguendo un sentiero a caso, che siamo persi su un altopiano chissà dove in Norvegia, che chissà dove finiremo e che, soprattutto, non arriveremo in tempo al cancello orario e subiremo l’onta di non completare il percorso.
“C’è quello verde davanti a noi, là!” Penso che Paolo inizia ad avere le traveggole, io non vedo nessun “verde” (che sono i concorrenti del singolo) però scorgo, oltre una lingua d’acqua, una bandiera di uscita: forse siamo sul percorso e quello dovrebbe essere il cancello orario. Abbiamo ancora 17′.
Su una roccia gigante leggo un maestoso #rockman: gioia e incazzatura!
Siamo sul percorso ma… invece che fare un murale non potevano mettere qualche segnalazione in più!?!?
Nuotata corta, all’uscita, seduto placidamente su una sedia sotto la bandier che avevamo visto dall’alto c’è un ragazzo che per me è Caronte: può farci attraversare l’Ade o mandarci indietro.
Mancano 3 minuti al taglio e magari decide di non farci passare.
Resta placidamente seduto, allora vado io da lui:
” Oh, possiamo fare il Dragon Neck? Siamo in tempo vero?”
Mi guarda stranito e mi fa ripetere le mie domande. Scandisco meglio ma lui mi guarda sempre piuttosto inespressivo, poi gli si agita il neurone e mi dice:
” Questa era l’ultima nuotata, dopo il Dragon Neck, adesso avete la discesa fino al traguardo”.
Vorrei abbracciarlo ma mi limito a ringraziarlo 5 o 6 volte per la bellissima notizia.
Capisco che quando ho iniziato a non trovarmi più “sulle palette” eravamo in zona “cancello”, infatti, adesso che avevo capito dov’ero, mi tornavano anche i tempi.
La discesa poteva essere su comoda carrareccia invece si taglia per sentieri e pietraie. Rocks, fino alla fine!
Chiudiamo in 9h55′, noni assoluti e quinti uomini: non male per dei turisti!

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